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Comunità OFM Convento Eremo S. Felice - Cologna Veneta (VR)

Eremo San Felice

V Domenica del Tempo Ordinario Anno C

2025-02-08 19:59

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Riflessioni,

V Domenica del Tempo Ordinario Anno C

9 Febbraio 2025




Is 6,1-2.3-8   Sal 137   1Cor 15,1-11   Lc 5,1-11


ALLONTANATI DA ME PERCHE' SONO UN PECCATORE!


Dopo la domenica dedicata alla festa della Presentazione al tempio del Signore Gesù, riprendiamo oggi la lettura di Luca col capitolo quinto in cui Pietro, dopo una notte insonne di pesca infruttuosa, finisce col fare attraverso Gesù una nuova sconvolgente esperienza della presenza di Dio.  



Dopo una notte di pesca faticosa quanto infruttuosa trascorsa sul lago, Gesù chiede a Pietro di poter usare la sua barca. Pietro non vorrebbe essere disturbato, dopo una notte frustrante di pesca fallimentare tutto gli dà fastidio. Eppure sono proprio quelli i momenti in cui si presenta regolarmente qualcuno a chiederti qualcosa! Gesù, però è ormai sulla barca di Pietro e non pare avere intenzione di demordere. Pietro sperava che Gesù finisse presto la sua predica e gli permettesse di riportare la barca a riva per poter andarsene a riposare il più presto possibile. Invece Gesù, dopo aver predicato alla folla, se ne esce con nuova richiesta esagerata, provocatoria: ritorna al largo e rimettiti di nuovo a pescare di giorno! Riprendere a pescare di giorno, in un lago vuoto di pesci! Che follia!  



Possiamo provare a chiederci cosa veramente Gesù stia domandando a Pietro. Gli viene chiesto, simbolicamente, di ritornare nel luogo del suo fallimento, al largo del lago. E’ come se Gesù gli dicesse: “Caro Pietro, torna nel punto più profondo del tuo insuccesso, nella tua situazione più drammatica, non fuggirla, tornaci sopra! Torna lì ma non da solo, ma questa volta insieme con me, torna con me lì dove ti sei sentito maggiormente perso, smarrito, fallito. Questa volta proviamo a rivivere insieme quei momenti”. E’ bello vedere come Pietro non solo chiami Gesù come maestro, ma si fidi anche di lui.



Pietro si rischia, gioca se stesso, la sua faccia di pescatore, e torna al largo gettando le reti di giorno! Invidiabile questa libertà di Pietro capace d’ascoltare Gesù senza farsi condizionare. Le cose vanno alla fine bene e le reti si riempiono di pesci. Pietro, sbigottito davanti al segno prodigioso, si prostra ai piedi di Gesù. Tornando al largo Pietro è come fosse andato nel punto più profondo e misterioso della sua esistenza. Come se si fosse recato al largo delle sue speranze, delle sue paure, dei suoi fallimenti, e delle sue angosce. Non vi è andato però da solo, bensì con Gesù, in sua compagnia intuendo il valore simbolico di quella pesca. 



In quel momento, sopraffatto da un divino tanto incombente, il povero Pietro, preso dal senso del mistero, cerca di prendere le distanze: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (Lc 5, 8). Gesù invece non solo non si allontana ma invita Pietro a fidarsi ancora di lui, sempre e non solo in quel momento! Quello che Gesù sta chiedendo a Pietro è in realtà di continuare per sempre a rischiare la vita con Lui. Affronteranno insieme i luoghi della vita che fanno paura. Con l’espressione enigmatica: sarai pescatore di uomini Gesù poi non cambia l’identità di Pietro, ma vi aggiunge qualcosa di nuovo valorizzando quel che Pietro già è “Sei già un pescatore, e lo resterai, mi va bene, non voglio cambiare la tua identità, ma da ora lo sarai in modo nuovo: lo sarai al servizio di altri e per il loro bene”: 



Pietro che all’inizio, aveva obbedito con scetticismo all’ordine di pescare di giorno (Lc 5, 5), scopre proprio nell’obbedienza la potenza prodigiosa nascosta in Gesù, maestro che realizzava sempre ciò che diceva. Mentre gli uomini sanno dire parole solo orientative e provvisorie, Dio invece realizza sempre ciò che dice (…è un Dio di Parola!). Proprio di questo fa oscuramente presenza il Pietro che, prostrato davanti a Gesù esclama “Allontanati da me, perché sono un peccatore!” (v.8).  



Un grande stupore aveva invaso lui e tutti coloro che erano con lui, ma è appena l’inizio perché più avanti, durante la passione, Pietro dovrà scoprirsi ancor più peccatore (Lc 22,33ss.) ma intanto qui Luca anticipa e prepara questo grande mistero.  



Luca ci trasmette come sia l’amore fedele del Signore a convertire Pietro. Possiamo allargare questa osservazione anche per le altre due letture, di Isaia e di S. Paolo. 



La prima lettura esordisce con un brano del profeta Isaia che evoca le circostanze dell’inizio del suo ministero: vibravano gli stipiti delle porte, una voce risuonava, il tempio si riempiva di fumo, ed Isaia esclama «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5). Viene ben descritta così l’esperienza d’essere soverchiati dal peso e dalla grandezza eccessivi di Dio. Proprio lo sperimentare in noi stessi la miseria dei nostri limiti diviene luogo e capacità d’accoglienza del divino! Ritrovarsi a contatto con la grandezza di Dio ci mette poi a nudo davanti alle nostre inconsistenze e peccaminosità. Sia Isaia che Pietro nel momento in cui fanno esperienza della grandezza di Dio comprendono con una forza mai prima sperimentata, di non essere come dovrebbero.  



Analoga è l’esperienza di Paolo, così come ci viene testimoniata nella seconda lettura. S. Paolo fu persecutore della chiesa fino a quando Gesù stesso, misteriosamente, gli apparve sulla via di Damasco. Analogamente a Pietro e ad Isaia, egli ha viva coscienza del dono ricevuto (1Cor 15,3). Caduto dal cavallo delle sue presunzioni morali e religiose, acquisì piena consapevolezza della sua indegnità, descrivendosi come “il più piccolo tra gli apostoli”. Non diversamente da Isaia e da Pietro ci testimonia che il segreto per accogliere la presenza di Dio nella vita è la presa di contatto col nostro limite creaturale: «Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1Cor 15,10). 



I serafini nel tempio, secondo la lettura odierna di Isaia, proclamavano l’un all’altro: “Santo, santo santo, il Signore degli eserciti!...vibravano gli stipiti delle porte la risuonare di quella voce mentre il tempio si riempiva di fumo….” (Is 6,3.4). Questo canto dei serafini proclama l’alterità radicale di Dio, che s’impone come fuoco divorante a chi si lascia anche solo sfiorare dalla sua manifestazione.  



Pietro, Isaia, S. Paolo ci rivelano uno stesso dramma: quello dell’uomo che, di fronte al mistero eccessivo di un Dio che entra nella vita, si trova di fronte alla propria povertà esistenziale. La contemporanea esperienza della propria povertà e della grandezza di Dio conduce a comprendere come la salvezza venga dall’alto. L’accettazione della nostra povertà è dunque l’unica strada per poter dare il meglio di sé. E’ infatti nella misura in cui impariamo a conoscere, toccare, e chiamare per nome le nostre fragilità che riusciremo a pescare efficacemente accompagnati e sostenuti dalla grazia che viene dall’alto. 


 



Per continuare la riflessione



-Quali sono gli ambiti esistenziali della tua vita che in questo momento consideri più negativi, e o problematici, ma che il Signore ti sta invitando a riconsiderare alla luce del suo amore ed in sua compagnia?



-In quale modo ti pare che il Signore ti chieda di valorizzare al meglio quello che tu sei?



-Qualche volta ti accade (o ti è accaduto) di fare un’esperienza di presenza del Divino che ti ha posto contemporaneamente di fronte alla grandezza di Dio ed alla tua povertà?



 



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