23 marzo 2025 Es 3,1-8.13-15 Sal 102 1Cor 10,1-6.10-12 Lc 13,1-9 I DUE ALBERI La liturgia di questa domenica vive all’ombra di due alberi che la adornano suggestivamente. La prima è un roveto selvatico, nel deserto, in questo caso addirittura ardente di fuoco, presente nella prima lettura dell’Esodo, che ci parla dell’incontro mistico con Dio di Mosè. Il secondo è invece un fico domestico, sterile però, senza frutto, con il quale si chiude il brano di S. Luca. Due alberi che trasmettono due tratti salienti del volto stesso di Dio: la compassione e la misericordia. Per la compassione ci riferiamo all’immagine dell’Esodo; sarà il Deuteronomio a definire Dio come: “Colui che abita nel roveto…”, come a dirci che il roveto ardente in qualche modo fa parte integrante della stessa identità, dello stesso volto di Dio: Dio non solo abita, dimora, o si fa trovare in un roveto ma è Lui stesso un roveto ardente! Gli ebrei amavano spiegare questo dicendo che il roveto è infatti l’albero dei dolori e Dio, infatti, soffre quando il suo popolo, il popolo ebraico, soffre. Ecco, dunque, il tema della compassione di Dio. Quando Dio parla a Mosè, i racconti rabbinici dicono che gli rivolse un discorso più o meno di questo tipo: “Caro Mosè ti accorgi di come io partecipo alle sofferenze d’Israele? Io ti parlo circondato dalle spine di questo roveto prendendo parte quasi fisicamente alle tribolazioni ed alle sofferenze tue e del tuo popolo…” Abbiamo una grande rivelazione: il Dio d’Israele non è un Dio che si limita ad ascoltare il grido di dolore del suo popolo, ma sperimenta, e partecipa realmente anche alla sua sofferenza, che non gli è estranea… Nella Settimana Santa, nelle celebrazioni del Venerdì Santo, anche noi come Chiesa contempleremo solennemente la gloria di Dio sfigurata nel volto di Gesù sofferente per amore, coronato di spine, ed innalzato sulla croce. Quindi la traduzione cristiana del roveto ardente del libro dell’Esodo è ormai la persona stessa di Gesù crocifisso, in cui si manifesta in modo misterioso, e nascosto, la compassione, l’amore compassionevole del Dio che si carica del dolore del mondo per liberarci da ogni male! Il secondo albero, la seconda immagine, nel quale il volto di Dio si rivela in questa domenica è l’albero di fico della piccola parabola con cui Luca chiude la sezione evangelica di oggi. Questo fico anziché maledetto per la sua sterilità e mancanza di frutti, viene invece benedetto e curato ancora per un anno dalla premura del vignaiolo, che è evidentemente un vignaiolo divino, che rappresenta (nella parabola) Gesù stesso che nei tre anni di vita pubblica ha cercato inutilmente di raccogliere frutti dal fico sterile del suo popolo, Israele, ma non per questo si arrende e questo anno ulteriore, in più, concesso ancora sarà la sua passione e morte, il suo sangue versato per tutti a fecondare il terreno attraverso il dono stesso della sua vita, per consentire al fico di portare finalmente il frutto sperato; che è il frutto della tenerezza, della commozione, della conversione dell’amore… Perché il fico porti il frutto sperato, allora, deve fare capolino l’albero della croce, manifestazione piena della compassione e della misericordia di Dio. Compassione e misericordia sono quindi i due tratti del volto di Dio che si manifestano pienamente in Gesù, e Gesù Crocifisso, e che illuminano il nostro cammino nell’oscurità della storia, che è davvero un cammino nel deserto. Ogni passaggio attraverso l’oscurità della storia assume le caratteristiche di una traversata nel deserto! Come i tempi di Gesù, infatti, anche i nostri tempi sono segnati dalla violenza, dalle ingiustizie, dalle realtà del male voluto dagli uomini, come i morti fatti da Pilato o causato dalle disgrazie imprevedibili o naturali, come i diciotto morti per il crollo della Torre di Siloe. Entrambi i fatti erano infatti interpretati dai farisei come punizioni divine: dal momento che ogni male viene sempre punito, costoro erano sicuramente colpevoli di qualcosa (anche se solo Dio e loro stessi conoscevano di che cosa), pertanto queste disgrazie, lungi dall’essere accidentali, erano invece giuste punizioni divine andate a segno… Senza dirlo, inoltre, il ragionamento dei farisei continuava più o meno così: “Tutti costoro sono stati puniti, ma noi invece non siamo colpevoli, perciò non siamo puniti… e non lo saremo!” In altri termini l’essere stati preservati da tante disgrazie diventa un pretesto per continuare senza convertirsi….! Due conclusioni importanti: -di fronte al male siamo senza spiegazioni, e faremmo bene a tacere…. -una sola è la parola che possiamo, ed anzi dobbiamo, pronunciare di fronte alle disgrazie ed al male, ed è la parola della nostra conversione personale con cui possiamo prendere le distanze dal male, per aderire con maggiore radicalità al bene. Di fronte al male noi rimaniamo senza spiegazioni perché il male non ha senso. Tuttavia possiamo viverlo conferendogli un significato: quello della nostra conversione al vero volto di Dio, il Dio della compassione, della misericordia, dell’amore, della vita e della risurrezione. Possiamo sempre convertirci, abbiamo tutti sempre nuovi margini per la nostra conversione. Ognuno di noi sa bene da cosa deve convertirsi, ognuno ha un suo segreto motivo di conversione: da un risentimento, da un moto d’ira, da un risentimento, da un’invidia, da una menzogna, da un’avidità o da una mancanza di generosità, o forse da un amore rachitico, misero, senza respiro. Non ci sono regole per la conversione, non ci viene detto quanti fichi dobbiamo produrre, se due, tre o un quintale… Conversione è il dolore del cuore, è avvertire che c’è una generosità più grande davanti a me da donare al padrone della vigna, che c’è una luce più intensa da far ardere nella mia vita, e nella mia ricerca della verità, e del bene. Convertirsi è avvertire che l’amore non è mai sufficiente, è avvertire che il padrone avrà pazienza, che aspetterà ancora un altro anno, che ci dà fiducia, ma il punto è se io voglio dargli ancora qualche frutto, o qualche frutto in più… Conversione è il dolore del cuore, perché l’amore è un dolore infinito, ma è grazie all’amore che ci accorgiamo che il male non è altrove, ma è qui vicino a noi, anzi dentro di noi, dentro di me. Amore è accorgermi di quante cose debbo correggere, purificare, potare, purificare. Convertirsi è amare sempre di più badando a non cadere, perché possiamo cadere in qualunque momento, quando meno ce lo aspettiamo, nessuno di noi è così bravo da aver fatto tutto, da essere a posto. Convertirsi è desiderare ed aspirare di essere totalmente colmati e trasformati dall’amore, convertirsi è in fondo cercare che non ci sia più un solo momento della nostra vita in cui non avvertiamo il pungolo doloroso e soave dell’amore, che è in ultima analisi la Grazia di Dio, che ci sospinge a smuoverci, a cambiare, a crescere, qualsiasi cosa noi stiamo facendo, sia buona che cattiva, perché sempre dobbiamo purificarci per essere sempre più liberi nella nostra capacità di amare. Signore aiutaci ad essere maggiormente vuoti di noi stessi, per essere sempre un poco di più colmi di te, del tuo amore, della tua grazia, della tua santa presenza.