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Comunità OFM Convento Eremo S. Felice - Cologna Veneta (VR)

Eremo San Felice

IV Domenica di quaresima Anno A

2025-03-29 15:25

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Riflessioni,

IV Domenica di quaresima Anno A

30 marzo 2025




Gs 5,9-12   Sal 33   2Cor 5,17-21   Lc 15,1-3.11-32  


NELLA CASA DEL PADRE...MA COME SERVI O COME FIGLI?


Viviamo quest’oggi la quarta domenica di Quaresima, detta della gioia o Laetare, dall’antifona del profeta Isaia (66,10 Rallegrati Gerusalemme) che è un invito alla consolazione ed alla gioia rivolto dal profeta a tutto il popolo di Gerusalemme, e che oggi la liturgia della Chiesa rivolge a noi per rincuorarci nel nostro cammino quaresimale. Non dovremmo mai perdere di vista che ogni percorso di rinnovamento e di purificazione, anche penitenziale, nella chiesa e nella fede cristiana, dovrebbe avvenire sempre nella luce della gioia e della consolazione. Il Vangelo ci indicherà le motivazioni che dobbiamo coltivare in noi per questo stato d’animo di gioia: Dio, in San Luca, rivela infatti il suo volto di perdono, il suo volto di Padre che, anziché punire, riconcilia a sé i figli che si sono allontanati da Lui, ridonando, a chi lo desidera e lo cerca, la grazia di recuperare quella relazione di figli che la nostra libertà, a causa della realtà del peccato, non è stata capace di custodire e di vivere! 


Nella prima lettura viene descritto il momento in cui nel cammino nel deserto cessò la manna, e gli ebrei poterono mangiare i frutti della terra. Il segno della comunione fra Dio, Padre provvidente, ed i suoi figli è dunque questo banchetto che anticipa e profetizza per noi cristiani il banchetto pasquale. Se quella che leggiamo oggi infatti nel libro di Giosuè è la prima Pasqua celebrata da Israele nella terra promessa da Dio, la liturgia ci indica che essa troverà in realtà il suo compimento finale nella Pasqua di Gesù, che ci prepariamo a celebrare alla fine della Quaresima. Certamente, mentre per il popolo ebraico a nutrire erano i prodotti agricoli della terra di Canaan, per noi invece è ciò che il Padre ci offre nel nostro pellegrinaggio esistenziale. 


Allora questa quarta domenica, così centrale nella Quaresima, dona ad essa un importante direzione di marcia: in questo cammino noi siamo diretti ed orientati verso la gioia della Pasqua, quando il Padre ci accoglierà nella sua casa come figli che tornano alla sua casa.  


Nella parabola del figliol prodigo troviamo l’idea del sacrificio del vitello deciso dal Padre per fare festa al figlio che tornava, e non è certamente difficile per noi leggere in questo linguaggio l’offerta che il Padre fa del Suo Figlio Bene Amato, il Signore Gesù, vero Agnello Pasquale nostra festa, e nostra gioia, offerto ed immolato per essere tutti salvati e riconciliati con lui come figli, e tra noi come fratelli…


Pur nella loro diversità i due figli hanno in comune un medesimo tratto servile nei confronti del Padre: il più giovane, dopo la sua avventura fallimentare nel mondo, rientra nella casa del padre come un operaio che chiede d’essere assunto dal padrone di casa. Né il più grande riesce a rivelarsi più maturo: invece di lasciarsi sorprendere dalla gratuità dell’amore paterno (e di apprezzarla), reagisce amareggiato e stizzito “Eccolo qua! Io che ho fatto tanto … eccoci arriva quell’altro… ecco come lo tratti!” Costui si aspetta ricompense, è un bravo figliolo, certo, è fedele, ma è amareggiato, lui non ha avuto mai nessun premio! Guardiamo come trapela una vena di risentimento ed amarezza. Non ha compreso che tra lui ed il padre non c’era alcun registro contabile, tu sei sempre con me, e quello che è mio è tuo…. 


Anche a noi accade talora di dire: "Guarda un po', io cerco sempre di rispettare le regole, mentre altri sono meno onesti e se la passano meglio, vedi cosa devo sopportare…" Anche se si resta onesti, intanto passa in noi un’ombra di risentimento! Certamente tutto questo è molto umano e comprensibile, tutti l’abbiamo vissuto qualche volta. Ma questo non nasce dalla nostra intimità e comunione con il Padre. Nasce dal nostro ego che contabilizza tutto e non comprende e non sente che il nostro vero tesoro, l’unico tesoro, è il Padre stesso! La sua presenza, il suo amore ci colma, ci rende belli, ci purifica. Dovremmo averne l’anima colma a sazietà!  


E invece…. E invece quante volte siamo lì con la calcolatrice a fare il conto delle entrate e delle uscite, distinguendo Dio dai nostri beni e gratificazioni, Dio e “quello che mi spetta” in termini di gratificazioni, come se la nostra gratificazione, la nostra gioia, potesse consistere in qualcosa d’altro o di diverso da Dio stesso. Se la nostra felicità consiste in qualcosa di diverso da Dio, stiamone certi e tranquilli, si esaurirà e cesserà molto presto, come presto finiscono i beni terreni. Così facendo non si può rimanere fedeli, perché si può rimanere fedeli solo ad una persona, non alle nostre cose, o a ciò che ci è dovuto, neppure se è il paradiso…  


E’ vero che questi due giovanotti hanno fatto scelte, e vissuto realtà molto diverse fra di loro, ma, a ben guardare, il loro modo di comportarsi è più simile di quel che non sembri a prima vista: il prodigo s’attende d’essere accolto in casa come un salariato, il grande si lamenta d’essere stato in quella casa sempre come un servitore!  


Siamo chiamati oggi ad ammirare e a far imprimere profondamente nel cuore il modo di reagire di questo padre. Avrebbe avuto ben ragione di lamentarsi “Ma che figli immaturi che ho tirato su!” invece la sua politica è diversa, egli infatti vuole prontamente restituire ai due figli quella loro dignità filiale che non avevano proprio maturato! Così il Padre restituisce al piccolo la sua dignità persa, mentre al grande cerca persuasivamente di farla comprendere. Il tema in entrambi i casi è trasmettere l’esperienza, e la comprensione, della qualità e della gratuità dell’amore del Padre. 


Se andiamo alla radice il vero problema del figlio minore fuggitivo fu non tanto quello d’uscire di casa, ma piuttosto di non aver proprio capito come il Padre volesse dargli proprio tutto, e non solo qualcosa! Naturalmente nelle storie delle nostre famiglie i genitori devono fare le parti eque fra i loro figlioli. Tuttavia nel caso di Dio la logica sottostante è del tutto nuova e differente: poiché egli ama ciascuno d’un amore infinito e personale, Egli vuole donarci tutto. 


In un passo impressionante di Luca (Lc 10,22) troveremo infatti quest’espressione fulminea di Gesù : Tutto è stato dato a me dal Padre mio… Come a dire che il Figlio Eterno del Padre, il Signore Gesù, era assolutamente sicuro di quello che al contrario questi due giovani non conoscono. Essere figli significa vivere nella consapevolezza stabile e serena della comunione piena con il mistero dell’amore del Padre… 


La parabola odierna si conclude con un simbolismo molto bello, quello della festa: al ritorno del prodigo viene organizzata una bella festa di famiglia. Mi pare un bel tema da valorizzare per noi. Mai il cammino penitenziale, di purificazione e conversione cristiana, per quanto ascetico ed esigente, deve avvenire nella musoneria, nella seriosità, o nella tristezza; esso avviene, o dovrebbe avvenire, sempre in clima di festa e di gioia. Mi pare un tema da non trascurare: il cuore della conversione cristiana è sempre riscaldato ed illuminato dalla gioia, una gioia che viene dall’alto e che rinnova il volto delle cose.  


Il Signore metta nei nostri cuori, in questo tempo santo di Quaresima, un nuovo desiderio, ed una rinnovata gioia, e struggente nostalgia, di rimanere ed abitare nella casa del Padre non più, come troppe volte successo, come servi, ma da figli, e figli amati.  


Se uno è in Cristo è una nuova creatura, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove…(2Cor 5,17) .


Si realizzi anche per noi, in questa Quaresima, questa profezia di Paolo!



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