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Comunità OFM Convento Eremo S. Felice - Cologna Veneta (VR)

Eremo San Felice

V Domenica di Pasqua Anno C

2025-05-17 18:12

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Riflessioni,

V Domenica di Pasqua Anno C

18 maggio 2025


At 14,21-27   Sal 144   Ap 21,1-5   Gv 13,31-35


UN NUOVO COMANDAMENTO?


Siamo ormai alle ultime domeniche del tempo pasquale, e S. Giovanni inizia a parlarci dell’ora di Gesù: Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato… (v.31). Vale la pena ricordare che quest’ora è segnata da un orologio molto particolare, quello in cui le due frecce s’incrociano l’una nell’altra a formare il drammatico patibolo della croce. È importante richiamare questo contesto, della Passione del Signore Gesù, perché è questo che fa da sfondo e nel quale s’incrociano, quasi letteralmente, i due temi centrali del vangelo odierno del cap.13 di San Giovanni, in continuazione con quello di domenica scorsa. I due temi sono quelli della gloria e del comandamento nuovo dell’amore. 


Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato ma questa espressione va bene chiarita e spiegata. Non si tratta infatti d’una gloria di tipo umano o trionfalistico, che sa di successo, la gloria di chi è onorato, premiato, ricevere onori o potere… Il senso biblico della gloria – doxa è invece quello della manifestazione della verità. In altri termini S. Giovanni ci sta dicendo che Gesù, crocifisso nella sua ora, sul Calvario, manifesta la verità dell’amore, manifesta un amore vero, indubitabile, morendo sulla croce e donando la sua vita per tutti.  


L’idea da registrare è importante perché molto spesso noi parliamo di amore, la nostra bocca è spesso piena di espressioni che lo alludono; tuttavia, ancora più spesso i nostri amori sono quanto mai interessati ed egoistici, o quanto meno parecchio condizionati a qualche interesse. Insomma, i comportamenti che noi chiamiamo amore sono piuttosto espressione d’un certo calcolo, un dare per ricevere anziché espressioni di amore adulto, cioè oblativo e gratuito, risolto in senso altruistico. Esso si caratterizza per disinteresse e gratuità, ed è tanto più autentico quanto più e meglio sa portare su di sé il costo di qualche fatica, costo, o rischio. 


Vi do un comandamento nuovo (v. 44). Rimaniamo un po' stupiti per il fatto che Gesù chiami nuovo quello che in realtà è il comandamento primo e più antico, tanto ben testimoniato e confermato in tutto il Primo Testamento. Si può anzi dire che probabilmente quello di amare il prossimo era uno dei comandi meglio attestati di tutto il Primo Testamento. Come mai Gesù lo chiama allora nuovo? Quello che è nuovo non è l’amore, ma amare come Gesù stesso ha amato! Se andiamo bene a vedere tutta la vita di Gesù, il suo ministero, fino alla sua morte sul Calvario vediamo come Egli seppe amare ed amò di un amore generosissimo, gratuito, universale, senza limiti, capace di perdono, in pura perdita, capace di trasformare le circostanze negative in positive, capace di portare la croce su di sé… Ecco allora che comprendiamo quale sia il comandamento nuovo che Gesù affida qui in Gv.13,34 “Vi do un comandamento nuovo, di amarvi tra di voi allo stesso modo, e con lo stesso tipo e qualità di amore che io ho vissuto e vi ho dimostrato…”  


Tale amore è capace di continuare la sua presenza indefinitamente nella storia, nel tempo, e nel mondo. Potremmo parafrasare così i vv.33-35 “Ancora per poco sono con voi fisicamente qui nel tempo e nella storia, ma se voi vi amerete con lo stesso amore con cui io ho amato, io in verità continuerò ad essere presente con voi, in mezzo a voi, tra di voi in un modo nuovo!” Insomma, Gesù ha promesso di essere presente in mezzo a noi, tra di noi, con noi, e per noi, certamente nella sua Parola ogni volta che è annunciata, spiegata, compresa, condivisa, nella Eucaristia, ogni volta che è celebrata e condivisa con fede, ma è presente in mezzo a noi, tra di noi, e con noi, anche ogni volta che il suo amore, un amore simile al suo, viene vissuto dai suoi discepoli con autenticità e docilità alla Sua Grazia. 


Penso valga la pena oggi anche richiamare e riprendere la scena bellissima che ci offre oggi l’Apocalisse in cui vediamo la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio pronta come una sposa adorna per il suo sposo si tratta dell’ultima visione del Secondo Testamento, la Gerusalemme celeste che scende verso di noi. A questa immagine corrisponde, con un’opposta simmetria l’immagine conclusiva del Primo Testamento nel secondo libro delle Cronache (2Cron 36,23) che conclude la Bibbia ebraica e nella quale invece vediamo il popolo cui è reso possibile e che è ora finalmente chiamato, e reso libero, a salire verso Gerusalemme! Dunque, due movimenti diversi e contrapposti: quello del salire del popolo verso Gerusalemme nel Primo Testamento, e quello della discesa di Gerusalemme verso di noi nel Secondo Testamento. Sono due immagini che è bello tenere insieme! Infatti, se il salire non è una conquista volontaristica che possa pretendere di meritare il dono, altrettanto nemmeno il discendere gratuito di Gerusalemme rende inutile la fatica del salire, ma al contrario le dona significato. Le due immagini del Primo e del Secondo Testamento pertanto vanno intrecciate tra di loro: la discesa ci permette di lasciarci sorprendere dal dono gratuito la presenza della città santa, ma contemporaneamente la fatica di salire ci apre ad un’accoglienza del dono che si fa colma di garbo e nuova consapevolezza. 


Questo ci aiuta ad approfondire ancora il comandamento nuovo lasciato da Gesù: anche in esso, infatti, vi è l’intreccio fra un dono (dell’amore) ed un comando (quello di amare). Si tratta d’entrare in quel mistero che sono sempre i doni di Dio, capaci di tenere insieme aspetti diversi e forse anche contrapposti fra di loro. Ciò che dobbiamo porre in atto è la nostra determinazione ad amare, ma a farlo come (cfr. Gv. 13,34 come io ho amato voi ..) come ha fatto Gesù questo è quello che ci viene tutto ed interamente donato dall’alto. Guai se ci lasciassimo prendere dalla tentazione d’interpretare il come ha fatto Gesù come l’invito ad un’imitazione! Nessuno di noi ha tali risorse o capacità, possiamo però basarci, fare affidamento, fondarci sul suo amore, e sulla sua grazia perché la capacità di amarci reciprocamente possa essere edificata, per Grazia, dall’alto!  


La cosa peggiore che potrebbe capitarci nella vita è quella di non aprirci e di non esercitarci nell’amore, forse per questo Gesù ci avverte del poco tempo che rimane “ancora per poco sono con voi” (v.33). Come se ci dicesse di fare attenzione a non sprecare il nostro tempo in cose inutili, perché rimpiangeremo tutto il tempo in cui non abbiamo amato, e non lo potremo più ritrovare, esso sarà smarrito, dissolto per sempre, ed una parte di noi con esso. Si salva, e rimane, ciò che è nell’amore, ciò che è amore.



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